I TORMENTI DEL LIBERO PROFESSIONISTA: DALLA SINDROME DI BURNOUT AL PRINCIPIO DI PARETO

Le lezioni sono finite. I saggi sono ormai un ricordo. È ora di fare un po’ di vacanza, mio giovane libero professionista.

“Estate. Il lavoro sembra solo un ricordo sbiadito. C’è tanto tempo libero per godersi la vita. Un sogno? No, un incubo! E adesso!?!? Che cosa faccio!?!?!?

Omammamiaaiuto. Non è che posso stare senza fare niente adesso. È già una settimana che non faccio nulla. Poi perdo il ritmo, perdo il treno del lavoro, non posso. Devo fare qualcosa. Subito. Qualsiasi cosa.”

Colto da una strana sensazione di déjà vu?

Succede ogni volta che il libero professionista si ferma per poco più di un attimo. In quel momento si materializza il mostro del fallimento. Ansia. Paura di non riuscire più a riprendere il ritmo, il “treno” del lavoro. Succede sempre.

“Eh, ma la prossima volta non mi faccio fregare! Giuro che non finirò mai più in questa situazione!”

Già sentita anche questa, vero?

In una società sempre più precaria, è automatico il meccanismo del “più lavoro, più posso guadagnare”. Le pause tra un lavoro e l’altro, più o meno lunghe, diventano l’ombra del fallimento. Accade quindi che un professionista non si voglia prendere la responsabilità di perdere un lavoro. Rifiutare e dire no è come sentirsi sconfitti. Chi se ne frega di orari, vita privata e tempo libero: bisogna lavorare. Ogni opportunità viene vista come irrinunciabile, con il risultato di rimanere intrappolato in un ciclo continuo di piccoli incarichi. Senza nemmeno accorgersene, il libero professionista rischia di cadere nella sindrome di burnout, con tutte le conseguenze del caso.

Ci siamo cascati tutti, almeno una volta, nella nostra vita professionale.

Durante una pausa di lavoro, si chiacchierava di questo con il collega Paolo Franceschini. A un tratto Paolo riceve un messaggio. Poche parole e un link: il principio di Pareto.

Vilfredo Federico Damaso Pareto, analizzando la distribuzione del reddito sul territorio italiano, scoprì nel 1897 che il 20% della popolazione produceva l’80% della ricchezza complessiva. Stupito, e al tempo stesso affascinato, da questa proporzione così sbilanciata, scoprì che era una costante che tendeva a ripetersi anche in altri campi.

Venne così formulato il principio di Pareto che afferma che, nei sistemi complessi, il 20% delle cause provoca l’80% degli effetti.

Certo. Ma che c’entra Vilfredo con tutto il resto?

Semplice: impariamo a non disperdere le nostre energie in molti progetti perché sarà il 20% dei nostri sforzi a portare l’80% dei risultati.

Concentrarsi su cosa è più importante diventa quindi fondamentale per avere successo.

Non lasciamoci distrarre da nulla. Stiliamo una lista delle dieci proposte lavorative ricevute. Quali sono le prime due? Accettiamo quelle e concentriamoci solo su quelle. Se le abbiamo messe per prime c’è una ragione: sono quel famoso 20%. Fare meno è fare di più (e meglio).

Certo, non è una formula matematica. Ma dobbiamo imparare a fare delle scelte, per il nostro benessere personale e lavorativo. Nel caso avessimo sbagliato, non danniamoci l’anima: l’errore è un’enorme possibilità. Avremo gli strumenti per scegliere diversamente la prossima volta.

Che strano però, quel messaggio proprio in quel momento. Qualcuno ci stava forse ascoltando? 

(Ah, dimenticavo: se ti interessa anche qui si parlava dell’utilità fare di meno)

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